Mentre numerose Regioni, Lombardia in testa, si impegnano nell’attuare con leggi e decreti una massiccia deregulation venatoria, i massimi livelli della magistratura intervengono a richiamare indirettamente alla necessità di un vero rigore nel perseguire l’immenso fenomeno del bracconaggio.
Lo dimostra una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha sbarrato la strada al vergognoso tentativo di un uccellatore seriale della Valsabbia di vedersi applicata una pena inferiore per il suo saccheggio ripetuto dell’avifauna.
Come purtroppo capita con grande frequenza, il bracconiere, un conosciutissimo 58enne di Agnosine che insieme ai parenti ha collezionato negli anni quasi una decina di denunce compilate da polizia provinciale, ex forestale e carabinieri forestali, dopo essere stato sorpreso per l’ennesima volta a gestire quattro reti aveva superato il primo grado di giudizio (nel 2016) con una assoluzione per tenuità del fatto. Fortunatamente il procuratore generale aveva impugnato la sentenza, e in sede d’appello il valsabbino era stato condannato a sei mesi di reclusione e a 154 euro di multa non solo per il reato di uccellagione, ma anche per quello di furto venatorio.
Il legale del bracconiere recidivo ha presentato ricorso in Cassazione contro il secondo capo di imputazione, richiamandosi alla legge 157 del 1992, la legge quadro nazionale che regola l’attività venatoria e tutela la fauna, nella parte in cui sembra escludere l’applicazione del reato di furto sussistendo già quello di uccellagione, ma a Palazzo di Giustizia hanno rigettato il suo appello, confermando la condanna e caricando anche il valsabbino del pagamento delle spese processuali (sentenza 16981/2020 ⇒ qui il testo).
In sintesi, la sezione quinta della Corte, citando una serie di sentenze precedenti, ha ribadito una linea interpretativa secondo la quale il reato furto venatorio non può essere attribuito al cacciatore dotato di licenza che viola la legge compiendo atti di bracconaggio, mentre è assolutamente applicabile al bracconiere «puro», anche se già imputato di uccellagione, «rientrando indiscutibilmente la fauna selvatica nel patrimonio indisponibile dello Stato».
Accogliamo con grande favore questo pronunciamento, augurandoci naturalmente che faccia scuola e sperando anche che una sua attenta lettura eviti il ripetersi di assoluzioni per tenuità del fatto: un regalo fatto a ladri con o senza la licenza di caccia nella cui attività di gravissima devastazione del patrimonio faunistico non si rileva davvero nulla di tenue.
Ufficio Stampa LAC Lombardia
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