In marcia contro il bracconaggio – Il racconto di un’esperienza vissuta in Sardegna, nel Sulcis, in difesa degli uccelli migratori

Era un dicembre particolarmente freddo quello di cinque anni fa quando partii come volontario della LAC, Lega per l’Abolizione della Caccia, per un campo antibracconaggio sulle montagne del Sulcis.

In molti mi avevano raccontato degli scenari, delle realtà naturalistiche, dell’anima atavica, forte e selvaggia, che la Sardegna sa offrire fuori dal periodo estivo. Appena arrivato mi fu subito chiaro che il territorio dove avrei impiegato le mie forze nei giorni a venire era un ambiente unico, una perla naturalistica, un territorio dove forte è il retaggio di una cultura e di una memoria millenaria.

Da quel dicembre, ogni anno, come fosse una migrazione stagionale, sento l’esigenza di lasciare “il continente” e unirmi ai volontari di tutta Italia per dare un contributo, piccolo ma fattivo, alla protezione della natura.Una migrazione che è reale e vede lo spostamento contemporaneo di singoli umani, mossi da un intento comune, e di piccoli uccelli, i tordi bottacci che, cercando riparo dal freddo dei paesi nord europei, giungono alle nostre latitudini per superare l’inverno.

Quello che questi volatili non sanno è che, ad attenderli, ci sono centinaia di cacciatori e bracconieri soprattutto in zone, come il cagliaritano, dove questa selvaggina è molto richiesta.

In queste terre il bracconaggio è un fenomeno molto diffuso. Ne è cosciente la gente del posto, che conosce le abitudini dei cacciatori di frodo, e ne è cosciente Il Corpo Forestale Regionale che ha istituito uno specifico nucleo di contrasto. Scopo della cattura è la produzione delle “grive”, una serie di otto tordi cotti, marinati con foglie e bacche di mirto, che rappresentano una ricetta tradizionale della Sardegna meridionale. Ogni “griva” è venduta, tramite canali fidati, a privati ma anche ad alcuni ristoranti a un prezzo di mercato che supera i cento euro.I tordi, spostandosi nell’intrico dei cespugli e cercando dei posatoi, finiscono nei cappi a strozzo posizionati dai bracconieri. Mezzi, ovviamente illegali, consistenti in trappole poste sui rami e formate da due pezzi di fil di ferro distanti circa 20 cm l’uno dall’altro, posti verticalmente sui rami, e che servono da struttura portante per una serie di 4-5 cappi di nylon o di crine di cavallo, o in trappole messe a terra, costituite ognuna da un fil di ferro particolarmente elastico ben infisso nel terreno cui viene collegato un cappio con meccanismo a scatto dotato di esca attrattiva, tipicamente una bacca; più di rado sono utilizzate reti tese nei punti di maggior passo dei tordi.

Per catturare i Tordi bottacci il bracconiere impiega molto tempo nella preparazione delle trappole. Nel periodo della migrazione, poi, pone i suoi strumenti di cattura in un’area, il più delle volte situata in quota, costituita da una fitta rete di sentieri appositamente creati e chiamati “andule”.

Il mantenimento di questi “corridoi della morte”, lunghi anche alcuni chilometri, e il posizionamento delle migliaia di trappole richiede ulteriore tempo ed energie considerevoli, cosi come il costante monitoraggio per la raccolta delle prede. Gli abitanti del posto testimoniano come i bracconieri siano disposti a rimanere giorni e notti intere sulle cime montuose per armare le andulecon le loro trappole mortali e per monitorarle attentamente. Un impegno, questo dei cacciatori di frodo, che testimonia quanto sia radicata tale attività nella tradizione e nella cultura di questa parte dell’Isola ma anche quanto essa sia remunerativa.

Anche il lavoro dei volontari, teso alla rimozione delle migliaia di trappole e spinto dalla volontà di salvare quante più vite possibile è molto impegnativo. Inizia la mattina all’alba e termina soltanto al calare del sole. Si cammina tutto il giorno, si sfida qualsiasi condizione climatica e ci si azzarda a lasciare la scarsa rete sentieristica per trovarsi inaspettatamente dentro qualche andula dove la straordinaria bellezza della vegetazione mediterranea stride con la presenza abbondante e inquietante del metallo che è parte costituente delle trappole e che sta a indicare soltanto sofferenza e morte. Percorrere quei sentieri alla ricerca di trappole è un’esperienza estenuante ma unica. Oltre ad essere molto importante per la tutela della fauna permette di vivere a stretto contatto con una natura indomita.

Con buona probabilità le montagne del Sulcis sono tra i pochi posti ancora presenti in Italia, dove non sia possibile orientarsi visivamente facendo riferimento a strutture di origine antropica. La vegetazione è costituita principalmente da specie di macchia mediterranea raggiungenti lo stato arbustivo e arboreo come il lentisco, la fillirea, il corbezzolo, la tamerice e il mirto che creano una rete fittissima di radici e rami per questo uscire dai pochi percorsi battuti è assolutamente rischioso.

Un ambiente così affascinante e intatto, che si estende su una superficie di circa 20mila ettari di copertura vegetale quasi senza soluzione di continuità, merita la tutela totale come sembra voler fare la Regione Sardegna con la costituzione del Parco Regionale del Gutturu Mannu che, una volta a regime, andrebbe a integrare le già presenti Oasi di protezione di Monte Arcosu, Piscina Manna-Is Cannoneris e Pantaleo.

Certamente maggiori misure di salvaguardia previste dall’istituzione di un’area protetta possano garantire una maggiore tutela effettiva del territorio. Altrettanto certo è, però, che il bracconaggio è un fenomeno molto radicato nella struttura sociale e spesso molto redditizio. Per questo sarà fondamentale, anche nel futuro, la presenza dei volontari che, ogni anno, impegnano risorse umane ed economiche per tutelare una parte del patrimonio faunistico europeo.

Andrea Attanasio, biologo, esperto di vigilanza venatoria ed antibracconaggio. Da anni volontario in varie associazioni ambientaliste ed attivista della LAC.

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