L’attività venatoria è regolamentata dalla legge statale n. 157/92, la stessa che tutela la fauna selvatica omeoterma (mammiferi ed uccelli). Ogni Regione ne attua i principi generali sul proprio territorio con propria legge regionale, che non deve essere in contrasto con quella nazionale e con la Costituzione.

La stagione venatoria inizia, di norma, la terza domenica del mese di settembre e finisce il 31 gennaio (con possibili estensioni al 10 febbraio per colombaccio e corvidi). La caccia di selezione agli ungulati può essere svolta anche in altri mesi dell’anno, in base a regolamentazioni regionali.

Secondo quanto stabilito dall’articolo 18 della legge 157/92, le Regioni possono concedere più giorni di caccia attraverso la cosidetta “pre-apertura” (dai primo di settembre alla terza domenica del mese) e con il protrarsi della stagione venatoria (fino alla prima decade di febbraio, nel rispetto di uno stesso arco temporale), con riferimento soltanto ad alcune specie e situazioni precise.

Le Regioni possono autorizzare queste modifiche previo parere dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (ora confluito nell’ISPRA) e condizionate alla preventiva predisposizione di adeguati piani faunistico-venatori, passaggio che non sempre viene effettuato https://www.abolizionecaccia.it/toscana-consiglio-di-stato-impone-la-riduzione-dei-periodi-di-caccia/ , come non sempre viene rispettata la normativa che chiede ad ogni regione di predisporre piani faunistici pluriennali.

Secondo l’articolo 10 della legge 157/92 il piano faunistico venatorio è uno strumento indispensabile per la sostenibilità, almeno teorica, dell’attività venatoria.

Secondo il comma 10 dell’articolo 10 della legge 157/92 le Regioni devono attuare la pianificazione faunistico-venatoria mediante il coordinamento dei piani provinciali; spetta all’ISPRA il compito di fissare dei criteri per la loro omogeneità e la congruenza.

Il piano faunistico per legge deve prevedere le zone di protezione, le aree in cui può svolgersi l’attività venatoria (ATC e Comprensori Alpini) e le modalità con cui la caccia va svolta, in rapporto alle problematiche ambientali e alle esigenze prioritarie di conservazione della natura.

Il piano faunistico-venatorio regionale determina i criteri per l’individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie (AFV), di aziende agri-turistico-venatorie (AATV) e di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale.

Al momento della pubblicazione di questa pagina, settembre 2022, solo 10 regioni italiane dispongono di piano faunistico venatorio valido. Appena 4 regioni hanno un piano realizzato nell’arco degli ultimi cinque anni. Per le altre, la pianificazione è del tutto assente , scaduta o prorogata da tempo. La Regione Lazio, ad esempio, ha un piano faunistico venatorio, pur formalmente vigente, di circa 20 anni fa. La Regione Lombardia di fatto non ha un piano faunistico valido.

Provate ad immaginare quanto possa essere cambiato il nostro territorio in 20 anni! Quanti immobili, strade, infrastrutture, vegetazione, ambiente, tolti alla fauna e non considerati nei piani faunistici venatori!   

Le regioni quindi concedono di sparare ad un numero di animali ipotetico, sia perché i censimenti e le stime di consistenza sono approssimative, sia perché il territorio disponibile si riferisce a documenti vecchi anche di decenni.

Molte regioni approvano calendari venatori stagionali a valer di una pianificazione faunistico venatorio datata o inadeguata.

Secondo quanto previsto dall’articolo 10 della legge 157/92 il piano faunistico-venatorio è uno strumento indispensabile per la sostenibilità, almeno teorica, dell’attività venatoria. È uno strumento tecnico-amministrativo di pianificazione che, a partire dalla situazione attuale della fauna e delle sue criticità, individua le azioni gestionali necessarie al raggiungimento degli obiettivi regionali e/o provinciali in materia.

Il piano faunistico, per legge, deve prevedere le zone di protezione, le aree in cui può svolgersi l’attività venatoria (come Ambiti Territoriali Caccia e Comprensori Alpini) e le modalità con cui la caccia va svolta, in rapporto alle problematiche ambientali e alle esigenze prioritarie di conservazione della natura.

Il piano faunistico-venatorio regionale determina i criteri per l’individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie (AFV), di aziende agri-turistico-venatorie (AATV) e di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale.

Inoltre, poiché la caccia insiste anche su siti di interesse comunitario e zone di protezione speciale creati in attuazione di Direttive comunitarie per la protezione e la conservazione degli habitat e delle specie, tutti i piani faunistico-venatori regionali devono essere assoggettati a Valutazione di Incidenza, misura tuttavia poche volte adottata in Italia.

Inoltre i calendari venatori devono essere deliberati con atti amministrativi, mentre alcune regioni, come ad esempio la Lombardia, lo hanno approvato con una legge regionale, un espediente disonesto adottato per evitare i ricorsi amministrativi delle associazioni, alle quali resta come unica risorsa rivolgersi al governo affinché impugni la legge regionale illegittima presso la Corte Costituzionale, con conseguenti difficoltà e allungamento dei tempi.

A questo quadro critico si aggiunge la situazione delle specie di uccelli cacciabili; ben 19 sono le specie in stato di conservazione sfavorevole messe ulteriormente in pericolo dall’attività venatoria: canapiglia, codone, marzaiola, mestolone, moriglione, moretta, fagiano di monte, pernice rossa, pernice sarda, coturnice, starna, quaglia, pavoncella, combattente, frullino, beccaccia, beccaccino, tortora, allodola. E 5 di queste (tortora selvatica, coturnice, pavoncella, moriglione e tordo sassello) sono addirittura classificate come minacciate a livello globale dal nuovo rapporto Birds in Europe, specie che andrebbero immediatamente sospese dai calendari venatori e considerate oggetto di speciali interventi di tutela.

Le AFV-Aziende Faunistico Venatorie sono giuridicamente le eredi delle ex riserve di caccia a pagamento, con la clausola formale, rispetto al passato, di non poter essere costituite a scopo di lucro.

Nelle Aziende Faunistico Venatorie l’abbattimento di selvaggina, sovente di allevamento, è consentito nei tempi e con le modalità previsti dal calendario venatorio e dai regolamenti locali.

Le AATV-Aziende Agri-Turistico Venatorie, sono aziende agricole nelle quali il cacciatore può cacciare e dove sono consentiti l’immissione e l’abbattimento, per tutta la stagione venatoria, di fauna selvatica di allevamento.

È il numero di capi di fauna selvatica cacciabile che ciascun cacciatore può abbattere nelle giornate di caccia e il numero massimo di capi per specie che può abbattere nel corso dell’intera stagione venatoria.

Gli ATC (Ambiti Territoriali di Caccia) sono organismi di natura privatistica istituiti dalle Regioni, con il compito di gestire alcuni aspetti dell’attività venatoria.

Sono amministrati da organismi di gestione con prevalente rappresentanza delle associazioni venatorie ed agricole.

Nelle zone alpine sono istituiti i CA (Comprensori Alpini).

I consiglieri sono rappresentati dalle associazioni venatorie, del mondo agricolo, degli enti locali e di associazioni di protezione ambientale. Spesso accade che al posto di reali rappresentanti di associazioni ambientaliste vengano eletti consiglieri appartenenti ad associazioni vicine al mondo venatorio, come ad esempio Ekoclub o FIPSAS.

Gli ATC devono avere una dimensione sub-provinciale, anche se questa regola statale è tanto disattesa dalle Regioni.

Il cacciatore, per esercitare l’attività venatoria, deve iscriversi almeno ad un ATC o CA.

Tra i compiti in vario modo delegati agli ATC e CA possono figurare, a seconda delle Regioni: occuparsi del miglioramento degli ambienti rurali che ne costituiscono il relativo territorio, assicurare la sostenibilità del prelievo venatorio attraverso la riproduzione naturale degli animali, gestire censimenti, accertare danni arrecati alle colture dalla fauna selvatica, gestire controlli faunistici sotto la supervisione degli organi di vigilanza, ripopolamenti a fini venatori .

Il territorio di ogni regione deve essere destinato per una quota dal 20 al 30 per cento a zone di protezione di varie tipologie, in cui vige il divieto di cacciare e si favorisce la sosta e la riproduzione della fauna selvatica. In questa percentuale vengono comprese i Parchi Nazionali e Regionali, le Oasi di protezione, le Zone di ripopolamento e cattura, i Centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica, i territori ove sia comunque vietata l’attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni.

 Nella zona faunistica delle Alpi la percentuale del territorio destinato a zona di protezione deve essere pari ad una quota dal 10 al 20 per cento.

Un’altra quota massima del 15 per cento può (ma non deve) essere destinata alla caccia riservata a gestione privata (AATV e AFV) e ai centri privati di riproduzione.

Il restante territorio è destinabile alla gestione programmata della caccia (ATC e CA).

Il Governo può deliberare di impugnare la disposizione regionale presso la Corte Costituzionale.

L’eccezione di costituzionalità può essere sollevata, oltre che dal governo, anche dalla magistratura.

La caccia è consentita nei giorni stabiliti dal calendario venatorio, deliberato dalle regioni .

L’attività venatoria è consentita da un’ora prima del sorgere del sole fino al tramonto. Per chi pratica la caccia di selezione agli ungulati è consentita fino ad un’ora dopo il tramonto.

Chiunque possieda i requisiti previsti dalla legge 157/92.

La caccia si svolge per una concessione che lo Stato rilascia ai cittadini che la richiedono a condizioni ben precise. La fauna selvatica è considerata patrimonio indisponibile dello Stato, per cui se ne può disporre solo nei modi consentiti dalla Legge e la sua tutela è nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale; cacciare non è un diritto, ma una concessione.

Posto che si abbiano tutti i requisiti previsti dalla legge 157/92, si può cacciare dal diciottesimo anno di età , rinnovando la licenza di porto di fucile per uso di caccia ogni cinque anni con un certificato medico di idoneità.

Sulle cronache locali si legge spesso di “incidenti di caccia” causati da cacciatori di età molto avanzata.

Nell’articolo 18 della legge 157/92 sono stabilite le specie cacciabili.

Dalla terza domenica di settembre al 31 dicembre:

Quaglia (Coturnix coturnix)

Tortora (Streptopelia turtur)

Merlo (Turdus merula)

Allodola (Alauda arvensis)

Starna (Perdix perdix)

Pernice rossa (Alectoris rufa)

Pernice sarda (Alectoris barbara)

Lepre comune (Lepus europaeus)

Lepre sarda (Lepus capensis)

Coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus)

Minilepre (Silvilagus floridamus)

 

Dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio:

Cesena (Turdus pilaris)

Tordo bottaccio (Turdus philomelos)

Tordo sassello (Turdus iliacus)

Fagiano (Phasianus colchicus)

Germano reale (Anas platyrhynchos)

Folaga (Fulica atra)

Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus)

Alzavola (Anas crecca)

Canapiglia (Anas strepera)

Porciglione (Rallus aquaticus)

Fischione (Anas penepole)

Codone (Anas acuta)

Marzaiola (Anas querquedula)

Mestolone (Anas clypeata)

Moriglione (Aythya ferina)

Moretta (Aythya fuligula)

Beccaccino (Gallinago gallinago)

Colombaccio (Columba palumbus)

Frullino (Lymnocryptes minimus)

Combattente (Philomachus pugnax)

Beccaccia (Scolopax rusticola)

Cornacchia nera (Corvus corone)

Pavoncella (Vanellus vanellus)

Cornacchia grigia (Corvus corone cornix)

Ghiandaia (Garrulus glandarius)

Gazza (Pica pica)

Volpe (Vulpes vulpes)



Dal 1 ottobre al 30 novembre:

Pernice bianca (Lagopus mutus)

Fagiano di monte (Tetrao tetrix)

Coturnice (Alectoris graeca)

Camoscio alpino (Rupicapra rupicapra)

Capriolo (Capreolus capreolus)

Cervo (Cervus elaphus)

Daino (Dama dama)

Muflone (Ovis musimon),

con esclusione della popolazione sarda lepre bianca (Lepus timidus)



Dal 1 ottobre al 31 dicembre o dal 1 novembre al 31 gennaio:

cinghiale (Sus scrofa)



Ogni cacciatore, che spari da appostamento o in forma vagante, ha delle norme da rispettare, dettate dalla legge 157/92 e dalla legge della Regione in cui esercita la caccia .

È vietato a chiunque:

l’esercizio venatorio nei giardini, nei parchi pubblici e privati, nei parchi storici e archeologici e nei terreni adibiti ad attività sportive;

l’esercizio venatorio (incluso il solo atto di vagare in atteggiamento di caccia con i mezzi atti allo scopo) nel raggio di 100 metri da immobili, fabbricati o stabili adibiti ad abitazione o luogo di lavoro;

sparare col fucile con canna ad anima liscia in direzione di case, strade o luoghi di lavoro, da meno di 150 metri di distanza; idem in caso di funivie, filovie ed altri impianti di trasporto a sospensione, o di stabbi, stazzi, recinti ed altre aree delimitate destinate al ricovero ed all’alimentazione del bestiame nel periodo di utilizzazione agro-silvo-pastorale;

trasportare le armi da caccia, che non siano scariche e in custodia, all’interno dei centri abitati e delle altre zone ove è vietata l’attività venatoria, a bordo di veicoli di qualunque genere e nei giorni non consentiti per l’esercizio venatorio;

esercitare la caccia a meno di 50 metri da tracciati ferroviari e da strade carrozzabili, eccettuate quelle poderali ed inter-poderali;

cacciare a distanza inferiore a 100 metri da macchine operatrici agricole in funzione;

costituisce reato sparare da veicoli a motore o da natanti, a scopo di caccia;

sparare di martedì e venerdì, che sono giorni di assoluto silenzio venatorio anche se festivi; è reato sparare in questi giorni;

utilizzare reti, trappole, tagliole, vischio, esche e bocconi avvelenati, lacci, archetti, balestre, gabbie trappola.

Per lo sparo con carabina verso le aree di attenzione che abbiamo elencato, la distanza di sicurezza è invece di una volta e mezzo la gittata dell’arma. Le carabine sono armi utilizzate prevalentemente per la caccia agli ungulati.

Se ti capitasse di avere cacciatori vicino a casa che non rispettano i limiti di distanza e che nonostante le tue lamentele non si allontanano, consigliamo di prendere più informazioni e particolari possibili (fare foto, annotare le loro sembianze, come sono vestiti, annotare modello e numero della targa dei veicoli utilizzati) e chiamare gli organi di vigilanza venatoria (in primis: Polizia provinciale, Carabinieri forestali) per denunciare l’accaduto, specificando anche se sei stata/ o minacciata/o per la tua lamentela.

Non avere timore, anche una segnalazione o denuncia contro ignoti è importante perché rimarrà comunque registrata agli organi preposti e sarà utile in caso di incidenti.

Dopo aver fatto la denuncia, mandane una copia alla prefettura, facendo presente quello che accade nella tua zona ad opera dei cacciatori.

Le tue chiamate al 112 saranno sempre registrate e la tua richiesta verrà smistata ad organi di polizia che potranno intervenire.

Ulteriori informazioni https://www.abolizionecaccia.it/vademecum-caccia/

Infine segnala sempre a LAC l’accaduto scrivendo un’email a info@abolizionecaccia.it allegando foto e/o video. LAC non interviene direttamente sul posto, le tue segnalazioni, soprattutto se corredate da foto o video, saranno utilizzate per far capire alle autorità la gravità del problema.

Si spara agli animali durante il periodo venatorio (caccia a scopo ludico) e si spara al di fuori del periodo venatorio per controlli faunistici autorizzati.

Cosa sono il controllo faunistico e la caccia di selezione?

Il controllo faunistico si può svolgere anche in zone di divieto (ad esempio oasi, zone ripopolamento e cattura, valichi montani) e anche in periodi di caccia chiusa. Questi controlli della fauna, che avvengono specialmente in caso di danni alle produzioni agricole, dovrebbero essere praticati, per legge (articolo 19 della legge 157/92), mediante l’utilizzo di metodi ecologici. Qualora si verifichi l’inefficacia di questi metodi, l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) rilascia un parere sui piani di controllo che indicano le specie oggetto di abbattimento, il modo e il numero massimo di prelievi autorizzati. Tali piani di abbattimento non sono assimilabili all’attività venatoria e possono essere svolti solo da organi pubblici di vigilanza e dai cacciatori che sono proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano tali piani (anche se alcune regioni estendono tale facoltà in modo illegittimo anche ad altri cacciatori https://www.abolizionecaccia.it/stop-al-controllo-cruento-del-cinghiale-il-tar-da-ragione-alle-associazioni-animaliste/ ).

Il controllo faunistico che avviene nei parchi nazionali e regionali è disciplinato invece dalla legge quadro sui parchi 394/91, che ammette esplicitamente anche il coinvolgimento dei cacciatori della zona, su autorizzazione dell’ente parco.

La caccia di selezione è quella che si svolge su alcune specie cacciabili di ungulati (cervi, daini, caprioli, camosci e cinghiali) in periodi stabiliti dalle Regioni. È praticata secondo piani di abbattimento che assegnano al cacciatore “selecontrollore” un numero di animali da abbattere secondo classi di sesso e di l’età della preda . Generalmente, in questo tipo di caccia, si utilizzano carabine con ottica di mira.

La fauna, una volta abbattuta durante i piani di controllo, viene assegnata secondo quanto disposto dalla regolamentazione che la dispone.

I cacciatori che abbiano frequentato un corso autorizzato dalla Regione e superato il relativo l’esame.

La differenza tra controllo faunistico e caccia è giuridica ma ci sono tante sovrapposizioni. Come abbiamo già spiegato, accade che alcuni cacciatori siano chiamati ad attuare i piani controllo della fauna, ma questo spesse volte non è legittimo. https://www.abolizionecaccia.it/stop-al-controllo-cruento-del-cinghiale-il-tar-da-ragione-alle-associazioni-animaliste

L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale https://www.isprambiente.gov.it/it è un ente pubblico di ricerca sottoposto alla vigilanza del Ministro della Transizione Ecologica.

Ha il compito di censire il patrimonio ambientale costituito dalla fauna selvatica, di studiarne lo stato, l’evoluzione ed i rapporti con le altre componenti ambientali, di elaborare progetti di intervento ricostitutivo o migliorativo delle comunità animali e della riqualificazione faunistica del territorio nazionale, di effettuare e di coordinare l’attività di inanellamento a scopo scientifico sull’intero territorio italiano e di esprimere i pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province autonome. Dalla sua costituzione nel 2008 ha inglobato anche l’ex Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica.

Il controllo, secondo la legge 157/92, può essere effettuato solo se si dimostra la reale necessità legata a danni o disequilibri; dovrebbe sempre avvenire inizialmente attraverso metodi incruenti e di prevenzione, mentre gli abbattimenti dovrebbero essere l’extrema ratio. Da notare che ISPRA ha certificato e riconosciuto valido, quale metodo ecologico per la prevenzione dei danni alle colture, la recinzione elettrica. In realtà la legge non è quasi mai rispettata.

L’ufficio territoriale regionale, dopo aver valutato l’entità dei danni, i censimenti della specie da controllare, l’efficacia dei metodi ecologici attuati, dovrebbe stabilire il piano di controllo, che delinea il numero di animali che devono essere uccisi, senza che la sopravvivenza della specie sia compromessa.

Le operazioni di censimento in Italia, ad oggi, risultano approssimative e non standardizzate, delegate ai cacciatori (con conseguente conflitto di interessi).

Gli uffici territoriali della Regione dovrebbero inviare all’ISPRA una relazione in cui si evidenzia l’inefficacia dei metodi ecologici che hanno attuato e chiedere il parere sulle uccisioni vorrebbero effettuare. Il problema è che, il controllo dell’efficacia dei metodi ecologici messi in atto non lo effettua l’ISPRA, ma gli uffici territoriali stessi. Come si può essere certi che una recinzione elettrica sia stata correttamente installata e mantenuta e che, nonostante questo, si siano verificati dei danni? Come è possibile che una recinzione elettrificata, correttamente installata e mantenuta, non abbia funzionato se, oltre ad essere certificata dall’ISPRA, addirittura sono le regioni stesse, all’interno dei piani di controllo ( https://www.provincia.novara.it/Caccia/Abbattimento/cinghiali_18-23_rel2.pdf ), a sostenerne l’efficacia?

Se sono efficaci, perché allora esistono i piani di abbattimento?

La legge inoltre non dice che se i metodi ecologici prevedono un esborso economico, si possano ignorare passando subito agli abbattimenti, ma dice che gli abbattimenti devono essere l’estrema ratio. https://www.abolizionecaccia.it/stop-al-controllo-cruento-del-cinghiale-il-tar-da- ragione-alle-associazioni-animaliste/

È difficile difendere in modo efficace e tempestivo la fauna selvatica da piani di abbattimento illegittimi, poiché ci trova spesso di fronte a una mancanza di trasparenza nell’agire della Pubblica Amministrazione, con la mancata o parziale pubblicazione di dati ambientali relativi alla gestione faunistica.

Per quanto riguarda l’informazione ambientale, restano ferme le disposizioni di maggior tutela recate dalle norme di settore: la normativa sul c.d. “Accesso civico “; il decreto legislativo 152/2006, la legge 108/2001 (ratifica della Convenzione di Aarhus del 1998, testo base a livello UE che ha lo scopo di garantire ai cittadini il diritto alla trasparenza e alla partecipazione in materia ai processi decisionali di governo anche locale) e il decreto legislativo 195/2005 che, in attuazione della direttiva 2003/4/CE, ha regolato forme e modi dell’accesso del pubblico alle informazioni ambientali.

Le amministrazioni sono obbligate a dare evidenza a queste informazioni sui loro siti, in una apposita sezione facilmente individuabile denominata “Informazioni ambientali” affinché il cittadino possa accedervi facilmente.

La battuta di caccia in braccata è una modalità di caccia al cinghiale in forma collettiva; i cinghiali vengono spinti verso le “poste” (punti dove resta in attesa il tiratore) con l’ausilio di una muta di cani condotti da alcuni conduttori, coprendo una porzione rilevante di territorio.

Le modalità pratiche (cacciatori partecipanti, numero di cani, loro razza o tipologia, spostamenti dei conduttori, ecc.) possono variare anche sensibilmente, a seconda delle realtà locali.

Nella modalità della “girata” i cinghiali sono indotti a muoversi verso le poste attraverso l’azione di un solo cane (di solito a gamba corta), detto “limiere”, impiegato per trovare le tracce fresche dei cinghiali che si sono fermati in punti di sosta dopo la pastura notturna. La caccia in girata presuppone un numero di poste più ridotte e la copertura di una superficie di terreno meno estesa, oltre ad essere meno impattante in termine di disturbo ad altre specie presenti nel bosco.

https://youtu.be/Hh7H8II44c0

No. Foraggiare i cinghiali è un reato (art. 7 della legge 221/2015) In alcune aree del Paese esiste il malcostume, illegale, di lasciare cibo per cinghiali (granturco, pane secco, ecc,) per fidelizzarli alle aree di caccia ove opera abitualmente una squadra.

Egualmente criticabile è l’abitudine di alimentare i cinghiali per altri scopi ludico-ricreativi e per una malintesa empatia. Gli animali selvatici devono restare selvatici e come tali assoggettati alla normale selezione naturale; è sbagliato abituarli a reperire facilmente risorse in aree urbane, favorendo forzate “addomesticazioni”.

No. Immettere cinghiali in libertà è un reato contravvenzionale. L’articolo 7, comma primo, della legge 28/12/2015 n. 221 recita:

 “È vietata l’immissione di cinghiali su tutto il territorio nazionale, ad eccezione delle aziende faunistico-venatorie e delle aziende agri-turistico-venatorie adeguatamente recintate”.

Quali sono le specie infestanti o nocive?

Il concetto di “animale nocivo” è scomparso dalla legislazione statale in materia di fauna selvatica già all’inizio del 1978.

Era l’articolo 4 del vecchissimo ed ormai abrogato R.D. 1016 del 1939 (testo unico sulla caccia) a contemplare nell’elenco dei “Nocivi” i rapaci, alcuni carnivori, gli aironi e, persino, i gatti vaganti ad oltre 300 metri dagli abitati.

Esistono solo alcune specie attualmente escluse dalla tutela generale o stagionale, che la vigente legge 157/92 attribuisce ai mammiferi e agli uccelli selvatici, e che pertanto non sono assoggettate a regimi di parziale o totale protezione (si tratta di: topi, talpe, ratti, arvicole; dal 2016 anche le nutrie).

Si tratta di concetti ormai ridicolizzati dal comune sentire e da un approccio scientifico alla conoscenza del funzionamento degli ecosistemi.

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