Ci mancava solo il Covid 19 e l’emergenza sanitaria, economica e sociale che stiamo vivendo per ridare fiato alla infinita ed ormai stucchevole polemica della Coldiretti sui danni prodotti dai cinghiali.

Pensavamo che almeno in questo periodo storico dove la vera emergenza dovrebbe essere quella di contenere il più possibile il contagio del virus tra le persone, ci si concentrasse sui veri problemi che interessano le nostre comunità, ovvero quelli relativi ai tagli alla sanità pubblica, ed ai mancati investimenti sulle strutture di terapia intensiva, che proprio grazie al Covid 19 si stanno evidenziando in tutta la loro gravità! Invece, proprio facendo leva sulla primaria importanza della filiera dell’agroalimentare per garantire il cibo sulle tavole dei marchigiani e degli italiani, Coldiretti Marche ne approfitta per mettere nel mirino, non il virus pandemico, ma i cinghiali, che starebbero compiendo disastri, a causa della sospensione della caccia di selezione per l’emergenza del Covid 19.

Secondo Coldiretti, quindi, sarebbero più pericolosi per la società i comuni cittadini che passeggiano tranquillamente con i propri cani, invece che migliaia di cacciatori armati fino ai denti che sparacchiano indisturbati anche a ridosso delle nostre case! Curioso poi come le località indicate dalla Coldiretti, dove sarebbero avvenuti i maggiori danni dai cinghiali, riguardino proprio zone all’interno o a ridosso di aree protette, come quella di Ripa Bianca di Jesi, guarda caso limitrofa alla omonima Riservanaturale gestita dal WWF!

È oltremodo chiaro il subdolo intento di associare la presenza dei cinghiali alle aree protette, dove gli animali se ne starebbero al sicuro, da cui poi uscirne per compiere le loro incursioni… Peccato però che i più accreditati studi scientifici a livello italiano ed europeo abbiano invece dimostrato come non vi sia affatto una relazione tra aree protette e maggiore presenza dei cinghiali, perché quest’ultimi prediligono, logicamente, le zone più idonee dove poter reperire il loro cibo, a prescindere se in esse sia vietata o meno la caccia! Inoltre, gli stessi studi hanno dimostrato in modo inconfutabile come la proliferazione della popolazione del cinghiale e quindi anche l’aumento dei danni causati all’agricoltura e degli incidenti stradali, si concentrino proprio laddove la caccia è libera e soprattutto dove si praticano le braccate al cinghiale e come quindi essa sia una diretta conseguenza della eccessiva pressione venatoria nei confronti di questa specie! I branchi dei cinghiali, infatti, sono dominati dalle femmine “matriarche”, le quali sono le uniche che si riproducono, proprio grazie all’emissione dei feromoni, che inibiscono la fertilità delle altre femmine di rango inferiore. I cacciatori conoscono bene questo fenomeno e difatti, durante le loro braccate al cinghiale, abbattono volutamente le femmine matriarche, creando quindi la disgregazione dei branchi, ed innescando una reazione “liberatoria” nelle altre femmine di rango inferiore, che vanno subito in estro, riproducendosi più volte nello stesso anno e formando a loro volta altri branchi.

Coldiretti Marche, quindi, invece di chiedere la riapertura della caccia totale ai cinghiali, dovrebbe fare in modo che agli agricoltori vengano dati fondi per l’acquisto di recinzioni elettriche, di repellenti sonori e olfattivi, come quello all’odore del lupo, che è il predatore naturale del cinghiale, oppure chiedere che ai cinghiali venga fatta la vaccinazione contraccettiva, tutti metodi incruenti, che però, a differenza della caccia, hanno dato ottimi risultati!
 Danilo Baldini
Delegato LAC Marche
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