Riportiamo interamente l’articolo del quotidiano Bresciaoggi  dell 10.09.2019 che riporta nuovi elementi riguardo l’indagine giudiziaria che vede otto persone eccellenti rinviate a giudizio nella Provincia di Brescia per ipotesi di reato nella gestione della specie cinghiale.

Per chi volesse avere maggiori informazioni su metodi ecologici, prevenzione incidenti stradali e danni ai coltivi da fauna selvatica e ricerche, studi scientifici che confermano che i cacciatori non solo sono totalmente inutili nel controllo della popolazione di cinghiali ma addirittura sono una delle cause del loro aumento

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Cinghiali, spariti i pareri «scomodi»

Al centro di polemiche e anche di un’indagine giudiziaria che ha fin qui portato al rinvio a giudizio (per diverse ipotesi di reato) di otto persone, la gestione della presunta emergenza cinghiali nel Bresciano non smette di riservare sorprese: emergono infatti documenti di peso che qualcuno, nelle stanze della Provincia prima e in quelli dell’Ufficio territoriale della Regione poi, ha evidentemente tenuti nascosti. Forse per non interrompere quella pratica diciamo così «allegra» che secondo le indagini dei carabinieri forestale e l’analisi della magistratura che le ha avallate, ha violato più di una norma non solo in campo venatorio. I DOCUMENTI di peso sono due, e sono stati presi in considerazione, ma senza mai citarli nei provvedimenti, solo quando l’indagine accennata in apertura è diventata palese e ha iniziato a creare preoccupazioni. Sono entrambi firmati dall’Ispra, l’Istituto per la ricerca e la protezione ambientale, sono risalenti al 2011 e al 2017 e sono entrambi pareri obbligatori, ma non vincolanti, che l’Istituto ha fornito in merito alle modalità delle operazioni di controllo extra stagione di caccia del cinghiale. E in entrambi i casi avevano detto «no» all’utilizzo della «braccata», ovvero al ricorso ai segugi per stanare e inseguire gli animali autorizzando solo la «girata», ovvero l’impiego meno impattante di pochissimi cani controllati a distanza da un lungo guinzaglio. L’EFFETTO delle mute sulla fauna è noto a tutti, e l’Ispra lo sottolinea ricordando che il metodo «non assicura la selettività del prelievo, può determinare impatti su specie non target come il capriolo e il cervo e può favorire l’erratismo dei cinghiali, concorrendo a determinare una loro concentrazione nelle aree protette o una più ampia distribuzione della specie sul territorio».

Nel decreto di autorizzazione al controllo del cinghiale nel Bresciano del marzo 2018 la braccata è sparita; peccato che prima i funzionari della Provincia prima e dell’Utr poi (dopo il subentro della Regione nella gestione venatoria) si siano ben guardati anche solo dal citare l’esistenza dei preesistenti pareri Ispra, lasciando campo libero all’uso delle mute di cani gestite (è uno degli elementi dell’accusa contro i rinviati a giudizio) da quei cacciatori che, in apparente violazione delle legge quadro sulla caccia, hanno affiancato gli agenti della polizia provinciale unici deputati alle attività di controllo.

A quanto pare l’esistenza delle determinazioni dell’Ispra non era nota neanche informalmente agli ufficiali e agli agenti della polizia provinciale, investita dall’inchiesta col rinvio a giudizio dell’ex comandante, Carlo Caromani, e dei sottoposti Dario Saleri e Gianluca Cominini. Proprio Caromani afferma di aver scoperto a sua volta «solo recentemente l’esistenza di tali pareri trasmessi all’ufficio Faunistico. Ritengo che se il personale della polizia provinciale fosse stato messo al corrente avrebbe evitato le braccate optando per la modalità suggerita dall’Ispra».

Chi ha nascosto documenti pubblici per sei anni? Il caso cinghiali è passato tra le mani di diversi funzionari della Provincia e dell’Utr, come Raffaele Gareri, Alberto Cigliano e Giulio Del Monte. Il primo era direttore dell’ufficio Caccia del Broletto, gli altri due sono stati dirigenti dell’Utr, e tutti e tre rientrano nell’elenco dei rinviati a giudizio per gli abbattimenti (presunti) illegali. Ma c’è anche un altro ex funzionario, neanche sfiorato dall’inchiesta, che per la sua funzione in Provincia prima e all’Utr poi, avrebbe lavorato a tutti i provvedimenti (atti dirigenziali e decreti) legati alle operazioni di controllo della specie e finiti anche nelle indagini. È Michela Giacomelli, in passato prima esperto faunistico per l’ex settore Caccia della Provincia e poi trasferita, con mansioni analoghe, all’Utr del Pirellino. AL CENTRO nel passato di segnalazioni ed esposti su presunte irregolarità nell’autorizzazione di nuovi appostamenti di caccia e nella nomina dei consulenti faunistici pagati da un comprensorio di caccia alpino, Giacomelli oggi lavora in Regione a Milano, alla Direzione organismo pagatore regionale. L’abbiamo cercata per avere una sua considerazione sulla vicenda, ma risulta in vacanza e non è stato possibile contattarla. Intanto la Lombardia prosegue imperturbabile nella sua politica di «contenimento» di questa specie fatta solo di fucilate. Lo ha ricordato ieri un comunicato affermando che quest’anno gli abbattimenti sono raddoppiati rispetto al 2018. •

Paolo Baldi
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